Privatizzazione: una parola che in Italia sembra avere assunto un significato mistico…divinatorio.

La soluzione italiota per ogni cosa, per arrivare finalmente all’obiettivo di avere beni e servizi di natura pubblica finalmente gestiti in economicità, efficienza, efficacia, produttività e trasparenza.  Una soluzione con la quale lo Stato attualmente attesta la propria incapacità a gestire le proprie funzioni secondo il quadro normativo che esso stesso si è dato nell’ambito dei parametri europei. Una paradosso parossistico nella confusione generale, dove sono ampi gli spazi per delle semplici e banali speculazioni finanziarie a discapito di diritti elementari quanto fondamentali dei cittadini, in una normale evoluta società europea del terzo millennio. Privatizzazione dunque. Una “privatizzazione formale” e “privatizzazione sostanziale” o “materiale”: la prima è la semplice trasformazione dello status giuridico di un ente o di una impresa di proprietà pubblica, nelle svariate forme che può assumere, in una società di diritto privato, alle regole di questo assoggettata. La seconda è il vero e proprio passaggio della titolarità della proprietà e di conseguenza del potere di controllo dalla mano pubblica a quella privata. La privatizzazione non è  pertanto necessariamente “ liberalizzazione; la cessazione, cioè,  del monopolio pubblico in alcuni settori economici e la conseguente apertura al mercato concorrenziale oppure  “deregulation”, cioè l’eliminazione di vincoli e limiti posti dallo stato all’iniziativa economica privata; oppure la dismissione e l’alienazione da parte dello stato di beni e proprietà, non altrimenti vincolate o inalienabili, in favore di acquirenti privati. Un situazione complessa dunque che riguarda anche il cosiddetto pubblico impiego, il passaggio dalla regolamentazione di diritto pubblico (amministrativa) dei dipendenti a quella di diritto privato (contrattualizzazione della fonte). Il processo di privatizzazione portato avanti in Italia, nelle more di un quadro normativo europeo spesso disatteso nella sostanza, è molto rischioso. I vantaggi presunti non si concretizzano nel bene dell’azienda e della collettività,  con costi imponibili all’utente che non solo non diminuiscono, ma rimangono inalterati o addirittura spesso, per non dire sempre,  in aumento per speculazioni economiche da parte del gestore. Sotto questo aspetto il concetto di privatizzazione (bene in mano ad un privato) è infatti ben distinto

da quello più vasto di liberalizzazione che invece rimanda alla libera concorrenza tra molti gestori. Inoltre non è da escludere la possibilità che la privatizzazione fallisca ovvero l’azienda fallisca per un altrettanto cattiva gestione da parte del privato: in Italia certo non abbiamo tanti esempi di

buona impresa, piuttosto di tanta cattiva impresa pilastro di tanta cattiva politica. L’analisi della Corte dei Conti , con un documento pubblicato il 10 febbraio 2010, con la stagione delle privatizzazioni iniziata quasi 20 anni prima, rese pubblica uno studio nel quale elabora la propria analisi sull’efficacia dei provvedimenti adottati. Il giudizio, che rimane neutrale, segnala sì un recupero di redditività da parte delle aziende passate sotto il controllo privato; un recupero che, tuttavia, non è dovuto alla ricerca di maggiore efficienza quanto piuttosto all’incremento delle tariffe di energia, autostrade, banche, etc ben al di sopra dei livelli di altri paesi europei. Aquesto aumento, inoltre, non avrebbe fatto seguito alcun progetto di investimento volto a migliorare i servizi offerti. Più secco è invece il giudizio sulle procedure di privatizzazione, che “ evidenzia una serie di importanti criticità, che vanno dall’elevato livello dei costi sostenuti e dal loro incerto monitoraggio, alla scarsa trasparenza connaturata ad alcune delle procedure utilizzate in una serie di operazioni, dalla scarsa chiarezza del quadro della ripartizione delle responsabilità fra amministrazione, contractors ed organismi di consulenza al non sempre immediato impiego dei proventi nella riduzione del debito .“.  Da vent’anni  e più il tema politico è un paese che non cresce e un paese che non cresce è un paese che non produce ricchezza, pertanto più ingiusto e senza mobilità sociale. E da vent’anni e più, si intenta in Italia un balbuziente discorso di riforma: riforma non è un concetto tecnico ma politico, che non può essere lo smantellamento dei diritti dei cittadini. Piuttosto in Italia una rivisitazione strutturale, radicale e totale. del fare politica e del fare impresa. Una riforma del conservatorismo, delle resistenze di sistema allo stesso sistema paese, alla modernità.  All’essere europei. A  perdere privilegi consolidati e posizioni dominanti. Un discorso che esplose all’improvviso con tangentopoli, che era necessario affrontare da vent’anni e più con la realizzazione dell’Europa ma ignorato. Non solo, addirittura farsescamente disatteso e italianamente portato avanti nell’euro, nel tentativo francamente stupefacente, di volere a tutti i costi preservare gli elementi di sottosviluppo sociale, culturale, economico e politico di un paese comunque attivo. Il sistema paese paga vent’anni e più di politica pessima, fatta di sprechi, ruberie, clientelismo.etc. Di una politica che ha perso la propria dovuta e necessaria terzietà, divenuta casta cortigiana delle tante caste. Di un sistema paese che non regge il costo di una cattiva politica che genera una cattiva società, una cattiva economia e una pericolosa speculazione finanziaria.  Una politica moderna liberale: la “liberalizzazione” impone che la Caremar /Co.Re.Ma. non eserciti una funzione residuale e/o marginale ma piuttosto capace di assicurare la concorrenza e la salvaguardia della continuità territoriale. Deve essere presente quale società dello Stato che svolge, al pari delle altre compagnie, un servizio pubblico. Una nuova e moderna politica. Una politica che

si metta al passo con l’Europa.Una crisi economica è comunque una grandissima occasione di cambiamento, a condizione di volerla cogliere! La funzione strategica della Caremar/Coremar nel nuovo sistema dei trasporti marittimi è fondamentale nella involuzione naturale del mercato in questo momento, verso forme oligopoliste e/o monopolitste: Caremar/Coremar deve essere capace di assicurare la concorrenza e la salvaguardia della continuità territoriale” Ma al contrario, la Regione Campania attuerà la solita cosiddetta   p r i v at i z z a z i o n e, costituendo la società Co.Re.Ma. nella quale rischia sostanzialmente di essere ne’ ente regolatore ne’ gestionale del servizio. Sul modello “bad company” , gli armatori privati (ACAP) rischiano di portarsi

via, in pratica gratis, le rotte e le navi più redditizie. Alla Regione Campania (e quindi ai cittadini) i debiti, le navi ferme da rottamare, ed i dipendenti in esubero con il rischio certo e serio del monopolio.Il conto verrà pagato dalle isole d’Ischia, di Procida e di Capri, eccezionali per popolazione residente, per capacità economica–finanziaria, socio-culturale e turistica. La faccenda è terribilmente seria e va ben oltre il dato economico e politico, per configurarsi come una grande questione di principio giuridico, sociale, culturale e morale, diventando davvero inammissibile, soprattutto in una regione come quella di Napoli, socialmente destrutturata e con uomini di governo (Regione, Provincia e Comuni) che non riescono a farla uscire dall’attuale marginalità economica, sociale, politica e culturale. Ribadisco che il disastro del Gruppo Tirrenia e della CAREMAR è figlio di decenni di lottizzazioni, clientelismo e spreco di denaro pubblico. La Caremar, paga una cattiva gestione da parte della Regione Campania specialmente, ma anche delle varie amministrazioni provinciali e locali. Complessivamente la Caremar paga, al pari della sanità e quant’altro rappresenti il comparto dei beni e/o servizi pubblici, la cattiva politica che da sempre caratterizza la pubblica amministrazione, meridionale specialmente, che non ha assoltocorrettamente la giusta, necessaria e dovuta funzione di gestione e/o controllo. Alcuni sommari dati: circa 800 milioni di euro di debito nonostante i 200 milioni di euro l’anno di finanziamento statale. Spese per circa 540 milioni di euro a fronte dei soli circa 380 milioni di ricavi. Su 26 navi in esercizio a fine 2007 ben 11 sono vecchissime con un’età  che va dai 13 ai 32 anni. Esuberi stimati in circa 1900 unità su di un totale di circa 3500 dipendenti, distinti in1522 dipendenti con contratto a tempo indeterminato e 215 con contratto a tempo determinato. Gli amministratori si sono compensati nel 2007 con complessivi 973 mila euro annui.In Italia e a Ischia, le istituzioni di vario ordine e grado, non possono essere considerate da certa politica e dalla  speculazione finanziaria, alla stregua di burocrati di quart’ordine!Le Istituzioni isolane,  dovevano e devono assumere il proprio obbligatorio e doveroso ruolo attivo, determinante e non residuale di rappresentanza dei diritti della cittadinanza, di tutela del territorio e della società dove sono

stati eletti. Non certo limitarsi a stilare consigli o timide richieste per di per sè scandalose, continuative, reiterate e provocatorie aumenti tariffari, disservizi cronici oltre che la vera e propria assenza di servizi da e per le isole, presentati invece e paradossalmente come semplici e banali “buchi di fascia oraria” cui si chiede di porre correttivi, soluzioni, aggiustamenti etc. Correttivi e aggiustamenti? Le tariffe devono essere abbassate e il servizio deve essere migliorato e potenziato, come già era da fare da vent’anni e più. Altre soluzioni, altre mediazioni io non ne vedo!

Certo la soluzione italiana alla crisi, non può essere tornare indietro di 100 anni. Magari andando a Napoli col gozzetto come faceva mio nonno in tempo di guerra oppure con un piano navigazione del 1948 che faceva viaggiare anche sommergibili riadattati all’uso. Un simpaticamente triste nota storica che mi ha riportato un antesignano delle battaglie per i diritti degli ischitani e di cui si sente la mancanza dall’agone politico, l’eccezionale Mazzella della CGIL di Ischia: nel 1910 il tragitto Ischia Ponte –Napoli col vaporetto (a carbone con le pale laterali) veniva svolto in un ora e 10 min.

Per quanto riguarda  l’Ass. IL VOLO, ci riserviamo l’eventuale esercizio di azioni collettive inibitorie e/o di responsabilità di atti e comportamenti eventualmente lesivi degli interessi e dei diritti dei cittadini – utenti.

Ignazio Castagliuolo  – Pres. IL VOLO

 

Di seguito il documento agli atti e riproposto alla riunione di oggi presso il

Comune di Forio

IL VOLO ASSOCIAZIONE PER LA RINASCIATA DELLA POLITICA ATTIVA

Ai Sindaci dei Comuni di:

Barano

Casamicciola Terme

Forio

Ischia

Lacco Ameno

Serrara Fontana

p.c.

Al Presidente della Regione Campaina

Al Presidente della Provincia di Napoli

loro sedi

Forio, 12/10/2011

OGGETTO: collegamento con la terraferma – privatizzazione Tirrenia/Caremar

(reiterazione)

IL VOLO, Associazione per la rinascita della Politica Attiva, nel perseguire i propri obiettivi etici e statutari di tutelare il diritto ed i diritti civili dei cittadini in base ad elementari principi democratici di partecipazione attiva alla vita del Paese;

premesso

che

– il Gruppo Tirrenia SpA, è controllata interamente dalla Fintecna, di cui il 100% dell’azionariato appartiene al Ministero dell’Economia e Finanze;

– la Tirrenia S.p.A. ad oggi, effettua i servizi di cabotaggio (collegamento) marittimo a valenza sociale, coperti dallo Stato con contributi pubblici, a garanzia della continuità territoriale tra le isole italiane ed il continente, attraverso le quattro società a competenza regionale: Caremar, Saremar, Siremar e Toremar;

– in tutti questi anni, i bilanci della Tirrenia S.p.A. hanno registrato

perdite continue, con un indebitamento ad oggi pari al doppio rispetto al patrimonio netto, nonostante le sovvenzioni statali.Alcuni esempi a bilancio:circa 800 milioni di euro di debito;

200 milioni di euro all’anno di finanziamento statale;le spese sono state di circa 540 milioni di euro, mentre i ricavi toccano appena circa 380 milioni; su 26 navi in esercizio a fine 2007 ben 11 sono assai vetuste con un’età  che va dai 13 ai 32 anni;esuberi stimati in circa 1900 unità su di un totale di circa 3500 dipendenti, distinti in1522 dipendenti con contratto a tempo indeterminato e 215 con

contratto a tempo determinanto; la Magistratura contabile (Corte dei Conti) ha rilevato che i membri del Cda si sono compensati nel 2007 con complessivi 973 mila euro annui;

– già il DPEF o  legge finanziaria del 2007, (L. 296/06), prevedendo un piano di privatizzazione del Gruppo, evidentemente come unica soluzione al necessario riassetto societario della Tirrenia S.p.A.,  ha prorogato il termine di scadenza della convenzione in essere tra lo Stato e la Tirrenia dal 31 dicembre 2008 al 31 dicembre 2012 prevedendo, nel contempo, una progressiva diminuzione

dei contributi pubblici, fino al loro completo azzeramento;

– successivamente ed ad ogni buon conto, il decreto-legge n. 112 del 2008, convertito con modificazioni L. 133 del 2008, riprende il percorso di privatizzazione del Gruppo Tirrenia, prevedendo che le funzioni e i compiti di programmazione di cabotaggio marittimo di livello regionale, siano esercitate dalle Regione stesse. Entro 120 giorni dall’entrata in vigore della legge, alle Regioni che ne facciano richiesta, sono trasferite le società partecipate della

Tirrenia S.p.A., che gestiscono i collegamenti interni (Caremar, Saremar, Siremar, Toremar) a titolo gratuito.Pertanto, lo Stato, anticipando  al 31 dicembre 2009 il termine perentorio della scadenza della convenzione tra lo Stato e Tirrenia, quindi  termine ultimo per attuare la cosiddetta “privatizzazione della Tirrenia”, oltre alle società, trasferirà alle Regioni interessate anche i contributi per i servizi di trasporto pubblico così come da criteri stabiliti dal Cipe;

– nel DPEF 2009-2011 il Governo ulteriormente ha ribadito il suo intendimento ad «attivare tempestivamente, in coerenza con quanto già previsto dalla finanziaria 2007, un processo di privatizzazione della società» quale forma di riassetto societario della evidente cattiva gestione, come purtroppo da consuetudine politica e prassi giuridico-finanziaria;

– i Ministri dell’Economia e quello dei Trasporti, lo scorso 15 ottobre, inviavano una missiva al Presidente della Regione Campania  contenente una proposta complessiva in ordine alla privatizzazione della società Tirrenia e delle sue ramificazioni regionali, tra cui la Caremar, attraverso la cessione gratuita alle Regioni;

– a questa missiva il Governatore campano, in accordo con le rappresentanze dei sei Comuni dell’isola d’Ischia, risponde con la richiesta di trasformare la società di trasporti Caremar in una società misto-pubblica, Co.Re.Ma.,dopo aver ceduto alla Regione Lazio il ramo d’azienda relativo ai collegamenti marittimi della costa pontina;

– la Regione Campania ha, pertanto, avviato il processo di privatizzazione attraverso la costituzione di una società mista pubblico-privata con l’obiettivo della scelta di un socio privato cui contestualmente affidare il servizio;

– la Comunità Europea non ha mai chiesto all’Italia di privatizzare Tirrenia S.p.A. e le società regionali del gruppo, nè avrebbe avuto il diritto di farlo (cfr. articolo 295 del trattato CE). Essa è neutra rispetto al regime di proprietà esistente negli Stati Membri, ma altrettanto certamente qualunque scelta venga fatta da parte dalla Regione Campania e dallo Stato italiano, essa dovrà comunque essere in linea con il diritto comunitario: ogni operazione di riassetto di Tirrenia dovrà avvenire nell’unico vincolo del rispetto dei principi di trasparenza, di parità di  trattamento e di non discriminazione nonché della normativa europea pertinentere, al fine della realizzazione di un mercato unico per il trasporto marittimo.Pertanto l’operatore del servizio pubblico, per la UE, deve essere determinato attraverso una procedura di messa in concorrenza, trasparente e verificabile, tra tutti gli armatori comunitari interessati alla prestazione di servizio in questione;

– altresì il regolamento CEE n. 3577/92, riguardo il cabotaggio marittimo dà licenza agli Stati Membri della Comunità Europea di stipulare dei contratti di servizio pubblico e/o imporre degli oneri di servizio pubblico al fine di assicurare i collegamenti con le proprie isole secondo i requisiti che essi ritengono più appropriati, in base al principio di sussidiarietà ed al fine di garantire il congiungimento, la continuità e la coesione territoriale, eonomico e sociale, adottare ogni decisione in merito e assumerne i relativi oneri finanziari per rotte eventualmente definite “non redditizie”;

– nel caso specifico delle isole del Golfo di Napoli (Ischia, Capri e Procida), data per scontata la redditività nei periodi estivi di affluenza turistica, trattasi specialmente della necessità di attivare, anche mediante legittimi e giusti sussidi attraverso l’allocazione delle risorse finanziarie necessarie, amministrate in modo efficiente, efficace e trasparente, di:assicurare la continuità territoriale durante tutto l’anno, in modo continuativo, omogeneo e funzionale per fasce orarie di collegamento (L.169/75); rispettare lo standard di sicurezza previsto ed imposto dal quadro normativo nazionale ed europeo (Direttiva 98/18/CE; decreto legge n. 45/2000);

migliorare i vantaggi tariffari e sociali del cittadino residente e/o pendolare nell’attuazione dell’obbligo di servizio pubblico;

considerato che

– per quanto approssimativamente e sommariamente descritto in premessa, appare evidente che la procedura di privatizzazione avviata è simile a quella attuata per “Alitalia”, col rischio di risultati peggiori, per qualità del servizio e tariffe applicate, vista la acclarata generale “debolezza” politico-amministrativa della Campania e le acclamate ”prestazioni”, in genere, delle società controllate e/o misto-pubbliche delle proprie rappresentanze territoriali (Comuni, Province e Regioni), non ultimo e per l’appunto la Caremar, in questi anni asfissiata da logiche clientelari di lottizzazione, le cui negligenze e/o incapacità a gestire gli assets di propria competenza giustificano di fatto anche le incongruenze, le disattenzioni ed i costi tariffari alterati degli operatori privati, con l’effetto di falsare la concorrenza tra operatori nel settore marittimo, a danno degli armatori più efficienti eventualmente presenti e/o interessati allo svolgimento del servizio;

– ad ogni buon conto, l’obiettivo finale di affidare il servizio di collegamento marittimo ad una società mista pubblico-privato, negli anni ha dimostrato di avere, specialmente in Campania, le “cattive abitudini” del pubblico e le fisiologiche difficoltà del privato nella gestione di servizi di

preminente interesse pubblico;

– l’acquisizione della Caremar da parte della Regione Campania attraverso la costituenda società Co.Re.Ma., appare configurarsi sul modello “bad company”, con l’acquisizione eventuale da parte del partnerariato privato, magari sottoforma di un provvisorio contratto di noleggio, le rotte e le navi più redditizie, lasciando allo Stato, e quindi ai cittadini, il compito di gestire

i debiti, le navi ferme, ed i dipendenti in esubero;

– in ogni caso la Regione Campania sta attuando una dismissione di capitale pubblico a favore di privati;

– ad oggi non appare affatto chiaro quanto debito la Regione Campania dovrà accollarsi né tantomeno come verranno gestiti gli esuberi dei dipendenti ed a quali condizioni contrattuali;

– l’eccezionale particolarità della realtà dell’isola d’Ischia, per popolazione residente, capacità economica – finanziaria, socio-culturale e turistica, al pari di Capri e Procida;

assunto che

– i Sindaci hanno il dovere di rappresentanza dei diritti della cittadinanza, alla tutela del territorio e della società di riferimento;

– la svendita della Caremar e delle altre tre società di riferimento regionali della Tirrenia S.p.A.. condiziona e potrebbe limitare i diritti fondamentali dei cittadini dell’isola d’Ischia oltre che di Procida e Capri (diritti sociali, economici ed occupazionali);

– il processo decisionale di che trattasi deve essere correttamente partecipato secondo i legittimi, giusti ed imprescindibili diritti delle comunità isolane, dato che il modello proposto e/o imposto di gestione del servizio attraverso una società mista pubblico-privato, privo di controllo da

parte della Corte dei Conti e con la Presidenza C.d.a. al 49% privato, potrebbe tendere ad usare tutti gli strumenti privatistici che la legge permette, col rischio reale, rafforzando posizioni private già dominanti sul mercato, di creare un monopolio che amplificherebbe i già attuali disservizi con rotte,fasce orarie e tariffe gestite unilateralmente, fuori dal mercato e senza alcun potere di controllo e/o gestione della parte pubblica, la Regione Campania, né Ente regolatore né gestionale del servizio;

– le responsabilità della evidente “mala gestio” della Tirrenia S.p.A. e della Caremar, data l’enorme massa debitoria a bilancio, non possono addirittura ed eventualmente condizionare accordi di programma in atto penalizzando, di fatto e di diritto, i cittadini isolani;

– di contro, di fatto e di diritto, vengono eluse le giuste responsabilità contabili, amministrative e politiche della gestione del Gruppo Tirrenia e della Regione Campania che, nella migliore delle ipotesi, evidentemente non ha assolto correttamente la giusta, necessaria e dovuta funzione di controllo;

chiede alle autorità in indirizzodi intervenire, istituzionalmente e con urgente immediatezza, presso l’Ente Regione Campania, al fine di meglio rappresentare le istanze, le necessità ed i

diritti delle comunità isolane, oltre che a procedere alla nomina di una propria unitaria rappresentanza legale a tutela dei cittadini isolani nell’obiettivo ultimo di:

1 – assicurare la continuità territoriale durante tutto l’anno (O.S.P.: obbligo di servizio pubblico), in modo continuativo, omogeneo e funzionale per fasce orarie di collegamento (L.169/75);

2 – rispettare lo standard di sicurezza previsto ed imposto dal quadro normativo nazionale ed europeo (Direttiva 98/18/CE; decreto legge n. 45/2000);

3 – migliorare gli attuali vantaggi tariffari e sociali del cittadino residente e/o pendolare nell’

attuazione dell’obbligo di servizio pubblico con una maggiore competitività e minori prezzi nella corretta parametrizzazione europea;

4 – attuare un piano serio e dettagliato di potenziamento dei servizi comunque obbligatori della Caremar/Co.re.ma che pertanto diventi effettivamente soggetto di privatizzazione su scala locale quando le medesime attività vengono messa in atto dalle autonomie locali (regioni, province, comuni, consorzi, enti locali vari, ecc.) riguardo comunque proprie attività produttive ed erogative,

mentendo lo Stato la maggioranza delle azioni oppure rimanendo  tra gli azionisti di maggioranza, nell’applicazione effettiva,europea e moderna del concetto di “ liberalizzazione”; affinchè il settore pubblico sia soggetto attivo e produttivo del  mercato concorrenziale.

Il Presidente

Ignazio Castagliuolo

 

Il Segretario

Nicola Manna

 

FLI

Coordinamento di Forio

Gerarda Verde