Ischia – Un’altra batosta per il Comune di Ischia. Il Tar bacchetta in parte l’ufficio tecnico e in parte accoglie un ricorso contro un’ordinanza di demolizione di Silvano Arcamone…Mezza bacchettata andrebbe pure ai gestori della delega al contenzioso (l’ex-vicesindaco ormai è fuori dai giochi). Infatti il  Comune, che non si costituisce quasi mai in giudizio per le ordinanze di demolizione, questa volta l’ha fatto…”Complimenti” per i “risultati” a chi detiene la delega..…

Ecco il testo della sentenza
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1001 del 2013, proposto da:
Anna Mazzella, rappresentato e difeso dall’avv. Giuseppe Morgera, con lui domiciliata in Napoli, via Diocleziano, 255 c/o lo studio dell’avv. Spadaro;

contro

Comune di Ischia, nella persona de Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Natalia Calise, con lei domiciliata/o ex lege presso la Segreteria T.A.R. essendo mancata l’elezione di domicilio nel Comune in cui ha sede questo Tribunale Amministrativo (art. 25 c.p.a);

per l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia,

dell’ordinanza di demolizione n.241 del 29/11/2012, notificata il 4/12/2012, con la quale il dirigente dell’UTC del comune di Ischia ha ordinato di procedere alla demolizione delle opere abusive realizzate dalla sig.ra Anna Mazzella in Ischia alla via Acquedotto;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Ischia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 giugno 2013 il dott. Luca Cestaro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

FATTO e DIRITTO

1.1. Con ricorso ritualmente notificato e depositato, MAZZELLA Anna impugnava i provvedimenti indicati in epigrafe e, in virtù di numerose censure in fatto e in diritto, ne chiedeva l’annullamento, nonchè, in via incidentale, la sospensione dell’efficacia.

1.2. Si costituiva il Comune di Ischia che chiedeva il rigetto del ricorso.

1.3. Con ordinanza del 21.03.2013, il Tribunale accoglieva in parte l’istanza di sospensione.

1.4. All’esito dell’udienza di trattazione del 19.06.2013, il Collegio tratteneva la causa in decisione.

2.1. In punto di fatto, anche alla luce delle ultime produzioni documentali delle parti e dell’avvenuta costituzione del Comune di Ischia va confermata la ricostruzione operata nella richiamata ordinanza di parziale sospensione del provvedimento impugnato n. 524-2013.

2.2. In particolare, il Comune – con il provvedimento impugnato – ha ingiunto la demolizione delle seguenti opere, edificate in Ischia alla via Acquedotto:

a. un manufatto di 4 mq, alto m 2,25, costituito da lamiere sia sul perimetro che sulla copertura, adibito a legnaia (n. 2 dell’ordinanza);

b. un manufatto di superficie coperta di 54 mq circa, alto m. 2,45 circa a forma irregolare, costituito da una parte in muratura in pietra locale e in celloblock, con coperture, in parte a volta, in parte in latero cemento ed in parte in lamiere coibentate (numero 4 dell’ordinanza);

c. una tettoia con pali in legno con coperture in ‘ondulino’ di plastica di 29 mq circa, alta m. 2,15 circa, posta in aderenza alla porzione perimetrale lato nord del fabbricato di cui al punto che precede, adibita a parcheggio auto (numero 4 dell’ordinanza);

d. una tettoia in tutto simile alla precedente quanto a tipologia e superficie (29 mq), alta m. 2,05 costruita in prosieguo della precedente “verso nord”, adibita a parcheggio auto (numero 4 dell’ordinanza);

e. un pergolato in legno sotto al quale è fissata una lamiera di 2,00 x 2,00 metri, costruito in aderenza alla tettoia di cui alla lettera c).

L’ordinanza, peraltro, recava la descrizione anche di altri immobili adiacenti non attinti, tuttavia, dal provvedimento sanzionatorio.

2.3. Per il manufatto di maggiore rilevanza, indicato alla lettera b), parte ricorrente documenta (cfr. rel. tecnica a firma dell’ing. Benito Trani) l’inclusione del medesimo nella domanda di condono edilizio n. 8257 del 31.03.2004 e l’affermazione è rimasta incontestata da parte del Comune di Ischia che si limita ad introdurre considerazioni relative all’astratta accoglibilità della domanda di condono, in particolare, con riferimento alla mancata dimostrazione dell’ ultimazione delle opere in questione entro il prescritto termine del 31.03.2003; simili argomentazioni risultano essere prive di pregio, in quanto la stessa relazione tecnica menzionata dà atto della ricomprensione del locale di 54 mq nella domanda di condono sulla quale non risulta che il Comune si sia pronunciato..

2.4. Gli altri manufatti summenzionati, invece, non risultano ricompresi nella domanda di condono com’è pacifico e, del resto, confermato dalla stessa relazione tecnica che si limita ad asserirne la precarietà e l’assenza di rilievo urbanistico.

3.1. L’oggetto del ricorso, quindi, va circoscritto esclusivamente al manufatto indicato al precedente paragrafo 2.2., non avendo alcun rilievo, in questa sede, le considerazioni pure spese in relazione agli altri manufatti, pure menzionati nell’ordinanza (ma non sanzionati).

3.2. La prima e la terza censura riguardano, appunto, la mancata considerazione della pendenza della domanda di condono il che denoterebbe l’illegittimità del provvedimento anche sotto il profilo del difetto istruttorio.

3.3. Alla luce di quanto precede, non può che ritenersi la fondatezza delle censure con riferimento al manufatto di 54 mq di cui alla precedente lettera b).

3.4. Deve ribadirsi, in proposito, l’orientamento costante della Sezione (T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, 19 giugno 2008, n. 6005) secondo cui: «la normativa sul condono edilizio prevede, in pendenza dei termini, la sospensione de iure di ogni attività repressiva degli abusi edilizi. In conseguenza, le ingiunzioni di demolizione adottate in violazione dell’art. 44, l. n. 47 del 1985 (richiamato dal co. 1 dell’art. 39 L. 724/1994) si rivelano illegittime. Invero, la predetta sospensione paralizza (non solo i procedimenti in corso, bensì anche) l’avvio dei poteri repressivi comunali, stante l’ontologica e funzionale incompatibilità del loro esercizio sia con la ratio della norma primaria, siccome volta, questa, a consentire il recupero dell’attività edilizia posta in essere, che con i principi di lealtà, coerenza, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa, i quali impongono la previa definizione del procedimento di condono prima di assumere iniziative, le cui finalità poterebbero essere vanificate dall’esito dell’iter in procinto di essere avviato sulla base della dichiarazione d’impulso ad istanza di parte (richiesta del condono edilizio)». Spetterà, comunque, all’amministrazione di verificare con rapida puntualità la domanda di condono, in relazione all’oggetto di causa, e definirla con l’adozione degli ulteriori, eventuali provvedimenti necessari.

3.5. Evidentemente, del tutto diverso è il discorso per quel che riguarda gli altri manufatti suiindicati, pacificamente non ricompresi nell’istanza condonistica.

4.1. Le rimanenti censure, numero due e quattro, sono invece infondate.

4.2. La seconda censura, con riferimento agli altri manufatti (a, c, d, e), poggia sulla qualificazione delle medesime (tettoie, pergolato) come opere di manutenzione straordinarie prive, in sostanza, di carico urbanistico e sottoposte al più blando regime della denuncia di inizio attività, la cui violazione non determinerebbe la sanzione demolitoria.

4.3. Il mezzo è del tutto privo di pregio.

4.4. Va, infatti, decisamente respinta la prospettazione tesa a minimizzare la portata dell’opera abusiva al fine di dimostrarne l’assentibilità con mera D.I.A. (oggi S.C.I.A.) e, conseguentemente, l’impossibilità di procedere a demolizione.

4.5. Per un verso, infatti, occorre ribadire che le opere in questioni non appiano avere natura minima, pertinenziale o precaria: la nozione di “pertinenza urbanistica” è meno ampia di quella definita dall’art. 817 c.c. e dunque non può consentire la realizzazione di opere di grande consistenza soltanto perché destinate al servizio di un bene qualificato principale. Infatti, il carattere pertinenziale in senso urbanistico va riconosciuto alle opere che, per loro natura, risultino funzionalmente ed esclusivamente inserite al servizio di un manufatto principale, siano prive di autonomo valore di mercato e non valutabili in termini di cubatura (o comunque dotate di volume minimo e trascurabile), in modo da non poter essere utilizzate autonomamente e separatamente dal manufatto cui accedono (Consiglio Stato, sez. IV, 17 maggio 2010 , n. 3127).

4.6.1. In tal senso, si è chiarito, con condivisibile orientamento, che gli interventi consistenti nella installazione di tettoie o di altre strutture che siano comunque apposte a parti di preesistenti edifici come strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi liberi, cioè non compresi entro coperture volumetriche previste in un progetto assentito, possono ritenersi sottratti al regime della concessione edilizia (oggi permesso di costruire) soltanto ove la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendono evidente e riconoscibile la loro finalità di arredo o di riparo e protezione (anche da agenti atmosferici) dell’immobile cui accedono; tali strutture non possono viceversa ritenersi installabili senza permesso di costruire allorquando le loro dimensioni sono di entità tale da arrecare una visibile alterazione all’edificio o alle parti dello stesso su cui vengono inserite. Nelle ipotesi descritte, infatti, per la loro consistenza dimensionale, le opere non possono ritenersi assorbite, ovvero ricomprese in ragione della accessorietà, nell’edificio principale o della parte dello stesso cui accedono (T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 29 gennaio 2009, n. 492; T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 08 aprile 2011 , n. 1999; v. pure il precedente di questa Sezione, Sent. n. 16446/2010).

4.6.2. Ebbene, nel caso di specie, le dimensioni e la struttura dell’intervento (in particolare, le tettoie hanno circa 29 metri quadri di superficie ciascuna) integrano con tutta evidenza una visibile alterazione della sagoma dell’edificio e, pertanto, non possono essere qualificati come accessori, pertinenziali o di mero “arredo”.

4.7. Per altro verso, la realizzazione di simili manufatti, stabilmente ancorati al pavimento e destinati a soddisfare non un’esigenza temporanea e contingente, ma prolungata nel tempo, è priva del carattere della precarietà ed amovibilità ed è quindi assoggettata al regime del permesso di costruire, dal momento che comporta una rilevante modifica dell’assetto edilizio preesistente (cfr. in un caso analogo, T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 09 settembre 2008 , n. 10059)

4.8. Tale iter argomentativo esclude, inoltre, che le opere in questione possano essere qualificate come mera manutenzione ‘straordinaria’ o ‘ordinaria’ in quanto integrano delle evidenti alterazioni della sagoma dell’edificio.

5.1. A ben vedere, peraltro, la qualificazione dell’intervento non incide sul regime sanzionatorio in quanto, come questa Sezione ha più volte ribadito, trattandosi di opere poste in essere su un’area sottoposta a vincolo paesaggistico, l’operatività della demolizione, disposta ai sensi dell’art. 27 D.P.R. 380/2001 (di seguito, T.U. edilizia), non risente della diversità del regime autorizzatorio che, invece, incide esclusivamente sull’operatività dell’analogo strumento previsto dall’art. 31 del medesimo Testo Unico, applicabile nel caso in cui si sanzioni un immobile edificato abusivamente in zona non vincolata (cfr. il disposto dell’art. 27 co. 2 del D.P.R. 380/2001 («…qualora si tratti di aree assoggettate alla tutela di cui al regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3267, o appartenenti ai beni disciplinati dalla legge 16 giugno 1927, n. 1766, nonché delle aree di cui al decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, il dirigente provvede alla demolizione ed al ripristino dello stato dei luoghi, previa comunicazione alle amministrazioni competenti le quali possono eventualmente intervenire, ai fini della demolizione, anche di propria iniziativa…»).

5.2. Va aggiunto, peraltro, che le argomentazioni che precedono, com’è costante giurisprudenza anche di questa sezione, rendono il provvedimento di demolizione assolutamente vincolato in virtù del mero rilievo della mancanza di autorizzazione paesaggistica per un intervento edilizio suscettibile di arrecare pregiudizio ai valori tutelati dal vincolo medesimo.

6.1. La quarta censura riguarda, invece, la pendenza di un’istanza di accertamento di conformità urbanistica e paesaggistica presentata ai sensi degli artt. 36 D.P.R. 380/2001 e 167 D.lgs. 42/2004. Tanto avrebbe impedito di adottare l’ordinanza di demolizione come riconosciuto da parte della giurisprudenza.

6.2. In proposito, la Sezione ha da tempo adottato l’orientamento, che appare prevalente e da cui non v’è ragione di discostarsi in questa sede, secondo cui la presentazione di un’istanza di accertamento di conformità non spiega alcuna refluenza sulla legittimità dell’ordinanza di demolizione.

6.3. Nel sistema, infatti, non è rinvenibile alcuna previsione dalla quale possa desumersi un tale effetto: la proposizione di un’istanza di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001 –che, comunque, non esiste nel caso di specie- in tempo successivo all’emissione dell’ordinanza di demolizione, avrebbe inciso unicamente sulla possibilità dell’Amministrazione di portare ad esecuzione la sanzione, ma non si sarebbe riverberata sulla legittimità del precedente provvedimento di demolizione (T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, 06 settembre 2010 , n. 17306; nello stesso senso v. Consiglio Stato, sez. IV, 19 febbraio 2008 , n. 849 e Consiglio di stato, sez. V, 29 maggio 2006 , n. 3236).

7.1. Alla luce delle argomentazioni che precedono, il ricorso:

a) va accolto con riferimento al manufatto di superficie coperta di 54 mq circa, alto m. 2,45 circa a forma irregolare, costituito da una parte in muratura in pietra locale e in celloblock, con coperture, in parte a volta, in parte in latero cemento ed in parte in lamiere coibentate (lett. b par. 2.2., n. 4 dell’ordinanza) con conseguente annullamento del provvedimento di demolizione in parte qua, fatti salvi i successivi provvedimenti;

b) va respinto per il resto.

8.1. La soccombenza parziale induce alla integrale compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

– lo accoglie con riferimento al manufatto di superficie coperta di 54 mq circa, alto m. 2,45 circa a forma irregolare, costituito da una parte in muratura in pietra locale e in celloblock, con coperture, in parte a volta, in parte in latero cemento ed in parte in lamiere coibentate (lett. b par. 2.2., n. 4 dell’ordinanza) con conseguente annullamento del provvedimento di demolizione ‘in parte qua’, fatti salvi i successivi provvedimenti;

– lo respinge per il resto;

– compensa le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 19 giugno 2013 con l’intervento dei magistrati:

Renzo Conti, Presidente

Arcangelo Monaciliuni, Consigliere

Luca Cestaro, Primo Referendario, Estensore

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 12/09/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)