Forio d’Ischia – Abusivismo. Il Consiglio di stato continua a bacchettare e a respingere gli appelli.
Ecco il testo di una recente sentenza del 3 settembre 2013. Logicamente, i media vicini al potere non parlano di certe mazzate..
“Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9675 del 2001, proposto da: C. M e R. G, rappresentati e difesi dall’avv. Lorenzo Bruno Molinaro, domiciliati presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, n. 13;
contro Comune di Forio, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;
per la riforma della sentenza del T.A.R. Campania – Napoli, Sezione IV, n. 03229/2001, resa tra le parti, di reiezione del ricorso proposto per l’annullamento del provvedimento del 10.1.2000 del Responsabile dell’Ufficio Tecnico del Comune di Forio, di diniego di concessione edilizia in sanatoria, ex art. 13 della l. n. 47/1985, per un manufatto abusivo realizzato in territorio del Comune suddetto, alla località “Spinavola”, nonché per la declaratoria del diritto dei ricorrenti di conseguire il titolo abilitativo in sanatoria per dette opere.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 9 aprile 2013, il Cons. Antonio Amicuzzi e nessuno essendo presente per le parti in causa;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
In data 9.8.1999 il Comune di Forio ha ordinato la demolizione di un fabbricato occupante la superficie complessiva di mq. 135, realizzato nella località “Spinavole”, alla sig.ra G. R ed al figlio sig. M. C, che hanno al riguardo presentato istanze dirette ad ottenere il rilascio di concessione edilizia in sanatoria ex art. 13 della l. n. 47/1985.
Le istanze sono state respinte con provvedimento del 10.1.2000 del responsabile dell’U.T.C. del Comune, vista la l.r. Campania n. 17/1982 e il P.T.P. dell’Isola di Ischia (approvato con D.M. 8 febbraio 1999), sia perché l’opera concretava una nuova costruzione non consentita dal vigente Piano Territoriale Paesistico, considerato che ricadeva nell’ambito di detto Piano in zona P.I.R., Protezione Integrale con Restauro Paesistico Ambientale (in cui era vietato qualsiasi intervento comportante incremento dei volumi esistenti, ad esclusione di adeguamenti igienico funzionali, anche attraverso ampliamento, delle case rurali di superfici residenziali non superiori a mq. 75) e sia perché l’intervento era difforme dalle previsioni di cui all’art. 4 della l. r. n. 17/1982, dal momento che la volumetria in corso di realizzazione non rispettava l’indice di fabbricabilità ivi stabilito.
I suddetti proprietari, premesso che il fabbricato era stato realizzato recuperando un preesistente manufatto in precarie condizioni statiche e manutentive occupando superficie e volume corrispondenti a quelli originari, hanno proposto ricorso al T.A.R. Campania, Napoli, per l’annullamento di detto negativo provvedimento, assumendo che le opere rientrano in quelle assoggettate a DIA, ai sensi dell’art. 2, comma 60, della l. n. 662/1996 (la cui violazione comporta, in base al punto 13 di detto art. 2, la applicazione di una sanzione pecuniaria), che il Comune suddetto era sprovvisto di P.R.G., approvato e vigente, con applicabilità della normativa di cui all’art. 4 della l. r. n. 17/1983, e che l’art. 9 delle N.T.A. del P.T.P. dell’Isola di Ischia ammette tutti gli interventi di recupero edilizio, compresa la ristrutturazione.
Il gravame è stato respinto con la sentenza in epigrafe indicata, che è stata impugnata con il ricorso in appello in esame dai proprietari interessati, che ne hanno chiesto l’annullamento o la riforma, deducendo i seguenti motivi:
1.- “Error in iudicando”, erronea rappresentazione dei presupposti di fatto e di diritto, omessa decisione su un punto decisivo della controversia. Eccesso di potere giurisdizionale.
Il T.A.R. ha ritenuto congrua la motivazione del provvedimento impugnato mediante erroneo e non pertinente richiamo al P.T.P..
Sulla istanza di sanatoria doveva essere chiesto il parere della Commissione Edilizia Integrata e solo se il giudizio di compatibilità ambientale delle opere eseguite da essa espresso si fosse concluso con l’affermazione della esistenza di un danno la Commissione avrebbe dovuto pronunciarsi anche sulla entità e gravità dello stesso (che, se riconosciuto lieve, sarebbe stato riparabile con indennità risarcitoria e, se ritenuto inesistente, avrebbe comportato l’impossibilità di adozione del provvedimento impugnato).
La sentenza è anche erronea nella parte in cui dichiara la legittimità del negativo provvedimento dell’U.T.C. anche se non preceduto dal parere obbligatorio della C.E..
Alla pubblica udienza del 9.4.2013 il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione in assenza degli avvocati delle parti, come da verbale di causa agli atti del giudizio.
DIRITTO
1.- Il giudizio in esame verte sulla richiesta, formulata dai sigg.ri M. C e G. R, di annullamento o di riforma della sentenza del T.A.R. in epigrafe indicata con la quale è stato respinto il ricorso proposto per l’annullamento del provvedimento del 10.1.2000 del Responsabile dell’Ufficio Tecnico del Comune di Forio, di diniego di concessione edilizia in sanatoria, ex art. 13 della l. n. 47/1985, con riguardo ad un manufatto abusivo realizzato in territorio del Comune di Forio, alla località “Spinavola”, nonché per la declaratoria del diritto dei ricorrenti di conseguire il titolo abilitativo in sanatoria per dette opere.
2.- Con l’unico motivo di appello è stato in primo luogo dedotto che il T.A.R. ha giudicato congrua la motivazione del provvedimento impugnato, che ha ritenuto l’opera in questione non consentita dal vigente Piano Territoriale Paesistico, senza considerare che il richiamo a detto Piano sarebbe erroneo e non pertinente perché tale strumento regolamentare sarebbe applicabile solo in relazione alle istanze di rilascio di concessione edilizia per la realizzazione di nuove opere, mentre per le richieste di sanatoria di opere già eseguite andrebbe applicato l’art. 15 della l. n. 1497/1939 (come sostituito dall’art. 164 del d. lgs. n. 490/1999).
La questione avrebbe dovuto quindi essere sottoposta alla Commissione Edilizia Integrata (come stabilito dall’allegato 1 alla l.r. n. 10/1982), che è tenuta ad esprimere il giudizio di compatibilità ambientale delle opere eseguite; solo se tale giudizio si fosse concluso con l’affermazione della esistenza di un danno (per difformità dell’intervento rispetto alle norme disciplinanti il vincolo) detta Commissione avrebbe dovuto esprimersi anche sulla entità e gravità di esso danno, che, se riconosciuto lieve e riparabile con indennità risarcitoria, avrebbe comportato solo l’applicazione della stessa, e, se ritenuto inesistente, avrebbe comportato l’impossibilità di adozione dei provvedimenti stessi.
Solo se il danno ambientale fosse stato ritenuto gravissimo e lesivo in maniera inaccettabile sarebbe stato possibile emanare un provvedimento di demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi; un tale danno non si sarebbe tuttavia verificato nel caso di specie, perché il manufatto realizzato non interromperebbe alcuna visuale panoramica e non sarebbe visibile da punti di osservazione esterni.
Il N.O. ambientale sarebbe stato peraltro concedibile anche “ex post”, in base all’art. 2, commi 4 e 6, della l. n. 662/1996 (che, comminando il pagamento di una sanzione pecuniaria a carico dell’autore dell’abuso, avrebbe previsto anche la sanatoria delle opere abusive) e tenuto conto del disposto dell’art. 5 della l. n. 1497/1939.
Il T.A.R. non avrebbe tenuto nel debito conto dette considerazioni e, travisando il contenuto dell’art. 13 della l. n. 47/1985, avrebbe omesso di considerare che l’accertamento di conformità richiesto dal privato si concreta in una valutazione di compatibilità urbanistica e non paesistica dell’intervento.
2.1.- Osserva la Sezione che il motivo in esame è sostanzialmente volto a dimostrare la infondatezza della tesi del T.A.R. che, con riferimento alla censura di mancata previa acquisizione del parere della C.E., ha sostenuto nella impugnata sentenza che, poiché l’art. 12 delle N.T.A. del P.T.P. qualificava la zona de qua come zona P.I.R. (in cui era vietato qualsiasi intervento edilizio comportante incremento dei volumi esistenti), era esclusa ogni attività valutativa di detta Commissione al riguardo e la Amministrazione era tenuta alla sola ricognizione ed applicazione di detto divieto.
La tesi che fosse comunque necessaria la previa acquisizione del parere della Commissione Edilizia Integrata è, ad avviso della Sezione, incondivisibile (a prescindere dalla verifica della sua ammissibilità perché formulata per la prima volta in appello ex art. 104 del c.p.a.).
2.2.- Va al riguardo innanzi tutto ricordato il tenore delle norme in precedenza richiamate e rilevanti ai fini che interessano.
L’art. 15 della l. n. 1497/1939 stabilisce che “…chi non ottempera agli obblighi e agli ordini di cui alla presente legge è tenuto, secondo che il ministero dell’educazione nazionale ritenga più opportuno, nell’interesse della protezione delle bellezze naturali e panoramiche, alla demolizione a proprie spese delle opere abusivamente eseguite o al pagamento d’una indennità equivalente alla maggiore somma tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la commessa trasgressione…..”.
L’art. 164 del d. lgs. n. 490/1999, poi intervenuto, stabilisce che “In caso di violazione degli obblighi e degli ordini previsti da questo Titolo, il trasgressore è tenuto, secondo che la regione ritenga più opportuno, nell’interesse della protezione dei beni indicati nell’art. 138, alla rimessione in pristino a proprie spese o al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione ….”.
Il precedente art. 163 sancisce che “Chiunque, senza la prescritta autorizzazione o in difformità di essa, esegue lavori di qualsiasi genere su beni ambientali è punito con le pene previste dall’art. 20 della legge 28 febbraio 1985, n. 47.
Con la sentenza di condanna viene ordinata la rimessione in pristino dello stato dei luoghi a spese del condannato. Copia della sentenza è trasmessa alla regione ed al comune nel cui territorio è stata commessa la violazione”.
L’allegato I alla l.r. Campania n. 10/1982 stabiliva che “Alla Commissione, così integrata, è attribuito il compito di esprimere parere in merito alle materie sub – delegate di cui all’ art. 82 comma II – lettera b), d) ed f) del DPR n. 616 in data 24 luglio 1977, nonché quello di consulenza su tutte le questioni che l’Amministrazione comunale riterrà opportuno sottoporle per lo specifico fine di salvaguardia valori ambientali, paesistici, architettonici e monumentali.”.
L’ultimo comma di detto allegato 1 disponeva che “Tenuto conto che il parere della Commissione Edilizia Comunale integrata come sopra stabilito è requisito indispensabile per l’emissione dei provvedimenti sub – delegati, essa va costituita a tal fine entro il termine massimo di giorni 60 dalla data di entrata in vigore delle presenti direttive.”.
L’art. 82 del d.P.R. n. 616/1977, stabilisce che “Sono delegate alle regioni le funzioni amministrative esercitate dagli organi centrali e periferici dello Stato per la protezione delle bellezze naturali per quanto attiene alla loro individuazione, alla loro tutela e alle relative sanzioni” e che “La delega riguarda tra l’altro le funzioni amministrative concernenti:…f) l’adozione dei provvedimenti di demolizione e l’irrogazione delle sanzioni amministrative…”
L’art. 6 della l. r. Campania n. 65/1981 ha stabilito che “Sono sub – delegate ai Comuni le funzioni amministrative previste dall’ art. 82, comma II, lettera b), d) e f) del DPR 24 luglio 1977, n. 616 per le zone sottoposte a vincolo paesistico”.
2.3.- Le citate disposizioni, se pur prevedono in linea generale l’acquisizione del parere di detta Commissione Edilizia integrata in materia ambientale, sono, tuttavia, superate dalla circostanza che l’intervento edilizio in questione è stato effettuato in zona di Protezione Integrale con Restauro Paesistico Integrale, in cui è vietato, ai sensi dell’art. 12 delle N.T.A., ogni intervento edilizio comportante incrementi di volumetria per costruzioni della superficie come quella de qua.
A detta violazione non poteva che conseguire il diniego di sanatoria, atteso che la possibilità di opzione tra la demolizione ed il pagamento di una sanzione pecuniaria è prevista dall’art. 164 del del d. lgs. n. 490/1999, vigente all’epoca di adozione del provvedimento impugnato, genericamente in caso di violazione degli obblighi e degli ordini previsti dal relativo Titolo, mentre il precedente art. 163 prevedeva specificamente, in caso di esecuzione di lavori di qualsiasi genere su beni ambientali senza la prescritta autorizzazione o in difformità di essa, l’emanazione dell’ordine di rimessione in pristino (oltre alla condanna ex art. 20 della l. n. 47/1985).
Costituisce quindi approdo giurisprudenziale del tutto condiviso quello secondo cui: “l’esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi costituisce attività vincolata della P.A. con la conseguenza che i relativi provvedimenti, quali l’ordinanza di demolizione, costituiscono atti vincolati per la cui adozione non è necessario acquisire il parere di organi, quali la Commissione edilizia integrata” (Consiglio di Stato, Sez. V, 6 giugno 2012, n. 3337; Consiglio di Stato, sez. IV, 10 agosto 2011, n. 4764).
D’altro canto, in sede di emanazione di ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive su area vincolata non è necessario acquisire il parere della Commissione Edilizia Integrata, anche perché l’ordine di ripristino discende direttamente dall’applicazione della disciplina edilizia vigente.
Il Collegio rammenta che l’art. 33 della legge n. 47/1985, con riguardo alla esclusione della possibilità di concedere la sanatoria richiesta, recita: “Le opere di cui all’articolo 31 non sono suscettibili di sanatoria quando siano in contrasto con i seguenti vincoli, qualora questi comportino inedificabilità e siano stati imposti prima della esecuzione delle opere stesse: a) vincoli imposti da leggi statali e regionali nonché dagli strumenti urbanistici a tutela di interessi storici, artistici, architettonici, archeologici, paesistici, ambientali, idrogeologici “.
2.4.- Quanto alla possibilità di concessione “ex post” del nulla osta ambientale, prospettata dagli appellanti, va osservato che tanto può avvenire per opere eseguite senza il previo rilascio del titolo, ma conformi nella sostanza alla disciplina urbanistica applicabile per l’area su cui sorgono, vigente sia al momento della loro realizzazione che al momento della presentazione dell’istanza di sanatoria, e tale presupposto non può ritenersi sussistente a fronte di opere abusive, realizzate in zona vincolata, comportanti un incremento volumetrico, per le quali l’autorizzazione paesaggistica non potrebbe in ogni caso essere rilasciata “ex post” per contrasto con il P.T.P. relativo alla zona di cui trattasi.
I parametri edilizi-urbanistici di cui all’art. 13 della l. n. 47/1985 non prescindono infatti dalla conformità paesaggistica che, per contro, costituisce, per le zone vincolate, un parametro ineludibile.
3.- Con l’atto di appello è stato inoltre dedotto che la sentenza è erronea anche nella parte in cui ha dichiarato la legittimità del provvedimento dell’U.T.C. pur se non preceduto dal parere obbligatorio della C.E..
La non pertinenza del richiamo al P.T.P. quale normativa idonea a sorreggere il diniego di sanatoria comporterebbe comunque la fondatezza della censura di mancata acquisizione del previo parere obbligatorio della C.E., che deve necessariamente intervenire all’atto della valutazione della istanza ex art. 13 della l. n. 47/1985.
3.1.- Osserva la Sezione che, in caso di presentazione di domanda di sanatoria ai sensi dell’art. 13 sopra citato, non è necessaria l’acquisizione del parere della Commissione edilizia, quando, come nella fattispecie, non si debba procedere a valutazioni tecniche, ma occorra l’effettuazione solo di valutazioni vincolate di natura giuridica, essendo vietato, nell’area su cui è stato realizzato l’intervento, qualsiasi intervento comportante incremento dei volumi esistenti.
Quando, infatti, l’Amministrazione è chiamata a svolgere una valutazione eminentemente doverosa e vincolata, priva di contenuti discrezionali e relativa ad un assetto di interessi già prefigurato dalla disciplina urbanistica applicabile, il provvedimento di accertamento di conformità assume una connotazione eminentemente oggettiva e vincolata, priva di apprezzamenti discrezionali, e non è necessaria l’acquisizione del parere tecnico della C.E..
Aggiungasi che, stante la ontologica diversità del procedimento di accertamento di conformità e di quello per il rilascio del permesso di costruire, non può ritenersi che le disposizioni sul parere obbligatorio della C.E. dettate per il secondo siano automaticamente estensibili al primo, ostandovi il principio generale di divieto di aggravamento del procedimento di cui all’art. 1 comma 2, della l. n. 241/1990.
4.- L’appello deve essere conclusivamente respinto e deve essere confermata la prima decisione.
5.- Nessuna determinazione può essere assunta in ordine alle spese di giustizia, stante la omessa costituzione in giudizio della parte intimata.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente decidendo, respinge l’appello in esame.
Nulla per le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 aprile 2013 con l’intervento dei magistrati:
Pier Giorgio Trovato, Presidente
Paolo Giovanni Nicolo’ Lotti, Consigliere
Antonio Amicuzzi, Consigliere, Estensore
Nicola Gaviano, Consigliere
Carlo Schilardi, Consigliere
L’ESTENSORE |
IL PRESIDENTE |
|
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 03/09/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)