di Ennio Anastasio
Siamo ancora qui ad interrogarci se il referendum sia stato un plebiscito non sulla riforma, ma sul Governo che l’ha proposta,ed ancora se la grande battaglia delle fazioni sul Sì o sul No abbia realmente sviscerato quel sentimento popolare che ha spinto al voto milioni di cittadini italiani, stavolta anche giovanissimi. In realtà dalle urne è venuta fuori la chiara immagine di un’Italia malandata, che vive un costo altissimo per la spesa pubblica, con gravi disfunzioni della sanità,con una disoccupazione giovanile da brivido rispetto alla media europea e, diciamolo pure, è venuta fuori un’Italia che affanna ogni giorno di più e che ha fame. La crisi nel nostro Paese morde ancora, forse non ha mai smesso da lunghi anni, e chi ha annunciato di vedere la luce nel fondo del tunnel si è sbagliato di grosso o magari ha cercato di dimostrare malsano ottimismo in quanto le ultime statistiche dell’Istat fotografano una situazione ben diversa; in particolare ciò che si verifica dal Nord al Sud del Paese è una conclamata riduzione finanche della spesa alimentare negli ultimi cinque anni ed i “soggetti ” a rischio non sono più soltanto le famiglie meno abbienti ma anche quelle che proprio fino ad ieri erano definite del ceto medio. La profonda frattura, quella della restrizione dei consumi, evidenzia la nuova disparità sociale che si vive da tempo tra chi può ancora imbandire una tavola e chi no. Parliamo dunque di un Paese dove circa 20 milioni di italiani hanno ridotto in modo consistente il consumo di carne, dove il pesce, a parte quello surgelato, si mangia pochissimo e dove ben 4 milioni di persone hanno deciso di rinunciare persino alla frutta e alla verdura. Cos’è che manca? quali sono i veri mal di pancia che probabilmente hanno fatto raggiungere nel Sud del Paese percentuali di oltre il 70% a favore del No? è forse quella la parte di un Paese, di un’Italia minima, formata da persone che silenziosamente soffrono nello sforzo di una vita dignitosa? ma è anche quell’Italia che crede nel lavoro e lo vive con grande speranza. Già, il lavoro, quello straordinario motore di emancipazione e di legame sociale che permette di sognare un orizzonte di vita, proprio quello che favorisce la nascita di un tessuto sociale diverso, non quello del rancore, della rabbia, dei “vaffa”, della disperazione, che oggi prevale.
Scelte sbagliate o troppa fiducia al mercato?
Forse è vero, abbiamo concesso troppa fiducia al mercato, alle sue presunte capacità di auto emendazione e gli abbiamo affidato dei compiti che non ha, ma è anche vero che la politica non ha dato risposte nell’avanzare degli anni, e comunque quelle poche date sono state completamente diverse o insufficienti ed oggi paghiamo il prezzo alto ed ingiusto di questa realtà che ci sta addosso, che pesa come un macigno nei diversi strati sociali. La mancanza di posti di lavoro, la costrizione a cercarlo verso l’estero od ancora l’abbandonare la propria nazione al termine di una vita lavorativa per andare altrove e vivere da “pensionato” e non da indigente. Ecco, a tali problemi può porre rimedio quella riforma costituzionale, tanto promozionata dal Premier uscente e dalla sua squadra? non è forse stata considerata dai tanti votanti come qualcosa di ben lontano dalla risoluzione dei problemi reali, quelli che attanagliano il Paese? nei primi due mesi del 2016 sono ben 5.500 i giovani laureati, molti di essi anche con qualifiche post-laurea e specializzazioni, che sono andati via aggiungendosi all’elenco già folto dell’AIRE , l’anagrafe dei residenti all’estero. Istruiti, preparati, hanno fatto la valigia infilandoci dentro anche un pò di speranza e progetti di vita lasciando questo Paese e questa politica, priva delle risposte che servono a costruire un futuro decente.
Dal referendum populista al Governo ribaltone
Non è faccenda di zero virgola qualcosa, questo referendum è costato caro, troppi soldi, i nostri soldi, ed era chiaro sin dall’inizio che avrebbe avuto un inevitabile peso politico, ed è la politica che deve preoccuparsi dei sempre più numerosi poveri in Italia, delle persone che perdono lavoro,che vivono in auto perché una casa l’hanno persa, delle prospettive dei giovani che aspettano risposte. E’ la politica che deve fare e dettare le regole con il chiaro compito di redistribuire la ricchezza a favore degli svantaggiati. Queste risposte non sono arrivate favorendo un populismo crescente, quello che tocca il ventre delle persone, che si schiera contro il sistema anti-casta ed i risultati delle due grandi isole, Sardegna e Sicilia con punte fino al 74% a favore del No, lo hanno dimostrato. Può apparire una sgrammaticatura ma in fondo in fondo, questo referendum che ha prodotto solo la conseguenza di un Governo “ribaltone”, espressione svilente di un ritorno della prima Repubblica, questo referendum che ha spaccato il Paese, che ha nuovamente alimentato le proteste di piazza, non è stato forse il risultato di un “voto da pancia”?