di Ennio Anastasio

La plastica monouso, messa al bando da tempo da molti Paesi, è riapparsa con l’emergenza coronavirus, ma facciamo anche i conti con migliaia di mascherine in poliestere abbandonate un po’ ovunque e sembra proprio che proteggere l’ambiente non sia più una priorità.

 Quando la pandemia sarà davvero finita sarà anche quello il tempo di fare una seria riflessione ma soprattutto un bilancio del forte impatto che il coronavirus ha avuto sulla nostra vita e nel conto non potremo evitare di inserire le notevoli conseguenze sull’intero ambiente. E’ vero, la pandemia ci ha colti impreparati bloccandoci per diversi mesi in casa e riducendo di molto le attività produttive visto che molte fabbriche si sono fermate o sono andate avanti con lo “stop and go” e per questo abbiamo respirato un’aria più pulita ed osservato un mare più limpido, ma nello stesso tempo siamo tutti venuti in possesso di nuove armi con le quali  se da un lato, ancora oggi, ci difendiamo dal virus, dall’altro attacchiamo l’ambiente che ci circonda, proprio quello che da qualche tempo non sembra più essere una priorità. Queste armi che vengono abbandonate ovunque, tanto semplici quanto dannose per l’ambiente, purtroppo per il nostro sbagliato comportamento, sono rappresentate dagli ormai noti dispositivi di sicurezza, più comunemente denominati “mascherine” che ritroviamo in ogni angolo di strada, sui marciapiedi, sui moli di imbarco e persino sulle spiagge, nelle pinete e in mare. E non dimentichiamo i guanti non biodegradabili riapparsi in questo periodo di emergenza, utilizzati e nella maggior parte dei casi non smaltiti secondo le regole fino a tanto da raggiungere i fondali marini. E cosa dire della disinfezione e sanificazione? sembra tutto utile e lecito per sconfiggere il  “nemico covid ” ma quanto inquinamento “invisibile” viene causato dall’utilizzo dei prodotti che si impiegano? ed ancora dai miliardi di bottigliette in plastica contenenti gel per le mani che utilizziamo di continuo? è difficile a credersi ma qualche anno fa, prima che si accendesse la miccia di Wuhan vi era un intento e uno sforzo comune per limitare al minimo l’uso della plastica monouso: abbiamo incentivato l’uso delle borracce di ogni forma e colore per poter bere in strada, in ufficio, a scuola; si è studiato il fenomeno delle “isole di plastica” che ci sono negli oceani (tra le più recenti la “South Pacific Garbage Patch” al largo del Cile e Perù, con una superficie  grande ben 8 volte quella dell’Italia) facendo uno straordinario sforzo per contenere l’uso delle bottiglie di plastica che, come sappiamo bene, disperse in mare diventano microplastiche fino a ritornare nella catena alimentare e quindi sulla nostra tavola; abbiamo sostituito bicchieri e posate monouso con prodotti similari biodegradabili e iniziato ad utilizzare materiale di tipo compostabile per produrre buste da spesa “green” allo scopo di annullare per sempre i classici sacchetti in plastica, il tutto percorrendo un’escalation incredibile, quasi da definire incommensurabile, guidata dallo slogan comune “plastic- free”, “liberiamoci dalla plastica”, già. Oggi, invece, a due anni dallo scoppio della pandemia, vediamo mascherine di ogni foggia e fattezza abbandonate dovunque, come a dire che la protezione dell’ambiente non è più una preoccupazione urgente, l’importante è contenere il mostro covid-19 mentre il resto passa in secondo piano. La verità è che, sotto questo aspetto, in questi ultimi due anni ci siamo involuti, come se fossimo tornati al Medioevo.

Le economie ripartono utilizzando circa 130 miliardi di mascherine al mese

A livello globale è questo il numero dei dispositivi di sicurezza che ogni mese viene consumato per la protezione individuale al quale si unisce quello dei guanti monouso stimato in circa 65 miliardi. Ciò significa che ogni giorno oltre 4 miliardi di mascherine vengono buttate via assieme ovviamente ai 2 miliardi di guanti monouso. Soltanto in Italia il fabbisogno di mascherine è stimato in circa 1  miliardo al mese. Il problema consiste tutto nel corretto smaltimento di tali materiali che sono realizzati con diverse fibre di plastica come polipropilene e poliestere proprio perché, una volta gettati, questi materiali non svaniscono nel nulla. Tra le varie cose che la pandemia ci ha insegnato dobbiamo ricordarne una di fondamentale importanza: siamo vulnerabili, e viviamo di una stretta relazione tra economia, progresso ed ambiente. Tanto più devastiamo gli ecosistemi che ci circondano, tanto più ne paghiamo le conseguenze, e ne dobbiamo avere consapevolezza quando riteniamo noioso e una perdita di tempo consegnare l’olio esausto di cucina presso un contenitore di raccolta convenzionato (ma può essere considerata come valida l’alternativa del tubo di scarico di un lavello?) così quando una mascherina ci sfugge dalle mani e vola via per strada, e riflettere sul fatto che oltre all’emergenza del coronavirus vi è anche quella ambientale, anzi, quella è e sarà sempre un’emergenza. L’utilizzo del monouso non ne giustifica l’abbandono indiscriminato e ovunque, basti pensare che una mascherina chirurgica, non riposta correttamente tra i rifiuti indifferenziati, impiegherà oltre 200 anni per decomporsi: un ricettacolo spaventoso che cresce di giorno in giorno e distrugge la biodiversità. Occorre ricercare presto dispositivi di protezione riciclabili e prodotti di sanificazione di minimo impatto possibile, e di certo le competenze professionali ci sono, ma abbiamo soprattutto bisogno di ritrovare una coscienza ambientale che sembra essersi dispersa e non essere più una priorità come un tempo, prima dello tsunami che ci ha travolti.